Rischio ed incertezza molte volte sono utilizzate come sinonimo nei mercati finanziari, ma in realtà sono due cose ben diverse. 

Si possono presentare situazioni in cui c’è incertezza ma non rischio e casi in cui c’è sia l’incertezza che il rischio. 

In generale noi esseri umani adoriamo la certezza e odiamo l’incertezza. La certezza ci fa sentire sicuri. L’incertezza invece ci fa sentire insicuri, indifesi, e impotenti. Tutto questo, in certe situazioni, può causare paura. 

Il futuro è incerto, i cash flow futuri di un’azienda sono incerti. Il valore dell’azienda basato su quei cash flow è incerto e di conseguenza i prezzi delle azioni sono incerti. Ma l’investitore non è mai esposto al rischio, fino a che non investe il capitale. 

Una volta impiegato il capitale, allora ci sarà sia incertezza che rischio. L’incertezza della salvaguardia del capitale e l’incertezza di ottenere un rendimento più o meno soddisfacente, perché in fin dei conti l’unico motivo per cui si investe è ottenere nel futuro più denaro di quello che si è investito nel presente. 

Ma perché è importante dare una giusta definizione di rischio?  Scopriamolo! 

A nostro parere, ci sono 2 modi di vedere il rischio:  Il rischio basato su elementi statistici, il rischio basato su elementi fondamentali.

Per il rischio statistico, cioè basato su elementi statistici si fa riferimento principalmente al Var , Cvar, Beta, oppure alla deviazione standard e alla semideviazione standard.

“Il value at risk (VaR) è un indicatore di rischio esprime la perdita massima probabile (a un certo livello di confidenza statistica) in un determinato orizzonte temporale”.

(fonte:https://www.borsaitaliana.it/borsa/glossario/value-at-risk.html)

Mentre il BETA analizza la variazione del prezzo del titolo rispetto alla variazione del mercato. Un beta inferiore ad 1 indica un rischio inferiore, perché in caso di oscillazione del mercato, il titolo tende a muoversi meno, nel caso in cui il beta sia superiore ad 1, significa che il titolo si muove più del mercato, quindi più rischioso. 

Se i metodi statistici funzionassero, valutare il rischio di titoli azionari o finanziari sarebbe molto semplice, basterebbe osservare questo numero (il var, beta ec..) ed avere subito un idea di quale è il livello di rischio a cui si va incontro. L’unico problema è che questi indicatori, prendono come riferimento le oscillazioni passate dei prezzi delle azioni. Che certamente non possono essere indicative ne delle oscillazioni future, nel del rischio di perdita permanente di capitale.

Perché?

Prendiamo ad esempio le azioni. Vogliamo acquistare azioni di una azienda quotata.

  • Nel breve periodo, il prezzo in borsa di una azienda e l’azienda sottostante sono due cose diverse. L’azienda potrebbe andare bene e il prezzo in borsa crollare. Ex. Può essere causato da un crollo di mercato come dalla Pandemia covid, o dalla crisi finanziaria del 2008, oppure semplicemente un fondo di grandi dimensioni disinveste da una azienda perché ritiene che ci sia una azienda migliore in cui investire, non perché quella va male, ma semplicemente perché ha trovato qualcos’altro in cui investire.

Oppure l’azienda potrebbe andare male, ma le azioni subire un notevole rialzo (perché alcuni operatori credono che in realtà nel futuro si riprenderà).

  • Nel lungo periodo invece, il prezzo delle azioni seguirà l’andamento dell’azienda. Se l’azienda andrà bene e riuscirà a fare utile ed aumentarlo, anche le sue azioni andranno bene. Altrimenti se l’azienda non riuscirà a mantenere le sue quote di mercato, o il management si cimenterà in progetti inutili e di conseguenza l’utile aziendale subirà un decremento, anche il suo prezzo in borsa subirà un decremento.

Quindi se vogliamo analizzare l’azienda sottostante ci dobbiamo concentrare su una analisi prettamente aziendale, ragionare da imprenditori. Capire cosa il management sta facendo, se l’azienda ha un buon prodotto e se opera in un settore in crescita o in declino, capire se è indebitata eccessivamente e soprattutto se possiede un vantaggio competitivo che gli permette di mantenere le sue quote di mercato rispetto alla concorrenza. Ci tengo a ripetere questo: quando dico capire bene, intendo capire a livello imprenditoriale. Questo richiede tempo e passione, non possiamo capire se Sundar Pichai, Ceo di Google sta facendo la cosa giusta, in 10 minuti. Ci vuole tempo per analizzare le aziende.

Se capiamo l’azienda a livello imprenditoriale, siamo in grado di capire se effettivamente stiamo rischiando oppure se ci sono alte probabilità di ottenere rendimenti eccellenti nel futuro.

Siete d’accordo con quanto detto fino ad ora?

Quindi, se siamo in grado di comprendere l’azienda, il prezzo in borsa di essa non ci preoccupa, perché nel lungo periodo questo si allineerà al valore. Perché come già detto IL PREZZO IN BORSA e il VALORE REALE DI UNA AZIENDA sono due cose diverse.

Ora, il metodo statistico vorrebbe dimostrare che un titolo è più rischioso o meno rischioso, basandosi su come questo titolo è oscillato in borsa nel passato.

Cioè, se un grande investitore ha venduto le azioni di Google, semplicemente perché voleva costruirsi un nuovo grattacielo, (non perché l’azienda Google non avesse ottime prospettive future) in quel giorno, se le azioni vendute fossero state molte di più rispetto a quelle acquistate, il titolo di Google sarebbe sceso di qualche punto percentuale.

Quindi nel breve periodo ciò che conta è la domanda e l’offerta, la quale domanda o offerta sono influenzate da migliaia di variabili. Dipendono dai bisogni e dalle necessità di qualsiasi investitore, ma anche dalle sue emozioni.

Per semplificare, secondo la teoria del metodo statistico, Google, sarebbe stata più rischiosa, perché il suo titolo è oscillato di più rispetto agli altri.

Ma se noi avessimo compiuto una analisi strategica aziendale e analizzato bene e studiato imprenditorialmente Google, quella giornata, sarebbe stato una ottima giornata per acquistare le azioni ad un prezzo a sconto rispetto al giorno prima.

Questo è il motivo per cui non riteniamo che il metodo statistico abbia molta validità. Addirittura in certi casi, gli indici statistici del rischio, potrebbero portare a rischi molto più elevati di quelli reali. 

Noi investitori, così come gli imprenditori, (che non sono trader speculatori, operatori ecc..) vogliamo capire innanzitutto quale è il reale valore di una attività finanziaria o di un’azienda.

Solo dopo aver capito quale è il reale valore, possiamo decidere di acquistare quell’attività ad un prezzo inferiore rispetto a quel valore.  Il prezzo di per se non dice niente, di conseguenza analizzare il rischio in termini statistici e basare le proprie decisioni d’investimento esclusivamente sul fattore prezzo risulta poco utile. 

È necessario concentrarsi sull’attività sottostante e solo in ultima istanza osservare il valore di mercato dell’azienda. Cioè il prezzo delle azioni. 

Seth Klarman, famoso value investor con alle spalle un track record di 30 anni con un rendimento medio annuale oltre il 16%, nel suo libro “Margin of safety” dice: 

“I find it preposterous that a single number reflecting past price fluctuations could be thought to completely describe the risk in a security. Beta views risk solely from the perspective of market prices, failing to take into consideration specific business fundamentals or economic developments. The price level is also ignored, as if IBM selling at 50 dollars per share would not be a lower-risk investment than the same IBM at 100 dollars per share…” “The reality is that past security price volatility does not reliably predict future investment performance (or even future volatility) and therefore is a poor measure of risk.“

“Trovo assurdo che un singolo numero che riflette le fluttuazioni dei prezzi passate possa essere utilizzato per descrivere completamente il rischio in un titolo. Il Beta considera il rischio esclusivamente dal punto di vista dei prezzi di mercato, non prendendo in considerazione i fondamentali aziendali specifici o gli sviluppi economici. Anche il livello dei prezzi viene ignorato, come se IBM che vende a 50 dollari per azione non fosse un investimento a basso rischio rispetto alla stessa IBM a 100 dollari per azione … “” La realtà è che la volatilità dei prezzi dei titoli passati non prevede in modo affidabile il rendimento futuro degli investimenti (o anche volatilità futura) e quindi è una misura inadeguata del rischio. “

Ma anche il Professor Emanuele Carluccio, Presidente di EFPA Europe, nell’articolo del sole 24 ore del 8 maggio 2020, parlando di consulenza finanziaria ha ribadito che con l’emergenza Covid sono emerse alcune criticità tra cui “…Il totale fallimento delle logiche e dei motori di adeguatezza basati sul Var (o peggio ancora sul CVar) con dati giornalieri e misurati su archi temporali relativamente brevi…..”[1]

( Fonte: Criscione A., Il coronavirus cambierà il volto della consulenza, Il sole 24 ore, 8 maggio 2020 )

Se decidiamo di investire in attività finanziarie, come ad esempio azioni, come potremmo ottenere una riduzione del rischio? 

Non c’è alcun tipo di scorciatoia. Dobbiamo studiare, studiare e studiare gli asset finanziari (come le azioni) in cui vogliamo investire. Non c’è formula, indicatore, o altro elemento che possa sostituirsi a questo.

Un’azienda potrebbe aver dimostrato una solidità nel passato, un buon management, una oscillazione del prezzo delle azioni minima. Ma questo è il passato! 

Se il prodotto non ha un futuro, o il management è cambiato oppure è intervenuta una qualsiasi situazione eccezionale, niente di ciò è incluso nei dati passati, quindi il rischio, che da una accurata analisi aziendale potrebbe sembrare palese, verrebbe AMPIAMENTE SOTTOSTIMATO dalle analisi statistiche.

 In altre parole, si verrebbe a creare una situazione paradossale, in cui un basso rischio statistico equivale ad un altro rischio reale di perdita permanente di capitale e viceversa in altre situazioni potrebbe accadere che ad un elevato rischio statistico corrisponda in realtà una grossa opportunità con un basso rischio reale.  

In merito vi è un famoso esempio di Warren Buffett nell’articolo “The Superinvestors of Graham and Doddsville”[2], pubblicato nel 1984 nella rivista Hermes della Columbia business school. Sebbene sia più complesso trovare questo tipo di investimenti c.d. “distressed value” oggi, questo spiega bene il concetto del rischio. 

“La Washington Post Company nel 1973 vendeva sul mercato per 80 milioni di dollari. A quel tempo, quel giorno, avresti potuto vendere le attività a uno qualsiasi dei dieci acquirenti per non meno di $ 400 milioni, probabilmente anche di più. La società possedeva Post, Newsweek, oltre a diverse stazioni televisive nei principali mercati….

Se il titolo fosse sceso ulteriormente, arrivando ad una valutazione di $ 40 milioni, invece che $ 80 milioni, il suo beta sarebbe stato maggiore. Per chi pensava che il beta possa esprimere una misura del rischio, il prezzo più basso lo avrebbe fatto sembrare più rischioso.”

(Fonte: Https://www8.gsb.columbia.edu/sites/valueinvesting/files/files/Buffett1984.pdf)

Questo è proprio un controsenso. 

Infatti dice Buffett: “Questa è veramente Alice nel paese delle meraviglie. Non sono mai stato in grado di capire perché sia più rischioso acquistare proprietà del valore di $ 400 milioni per $ 40 milioni rispetto a $ 80 milioni”.

Cambiando la definizione di rischio da rischio basato su elementi statistici, a rischio basato su elementi fondamentali reali, cambia completamente il metodo di valutazione del rischio e l’approccio di investimento – in questo caso in titoli azionari – e di conseguenza le performance finali.

Per questo motivo è molto importante avere ben chiara la distinzione.


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